TELEMACHIA di Roberto Calogiuri – recensione di Anna Piccioni

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fiocco rosa blu

Ancora prima che Massimo Recalcati parlasse della generazione Telemaco in “Il complesso di Telemaco” del 2013, Roberto Calogiuri nel 2009 ha pubblicato “Telemachia”; giusto per dare una corretta posizione temporale a una tematica o meglio su un personaggio mitologico che per alcuni giovani esponenti politici è diventato il simbolo delle nuove generazioni. Ma la figura di Telemaco non è sovrapponibile: per Recalcati “Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola. In primo piano non è qui il conflitto tra le generazioni (Edipo), né l’affermazione edonista e sterile di sé (Narciso), ma una domanda inedita di padre, una invocazione, una richiesta di testimonianza che mostri come si possa vivere con slancio e vitalità su questa terra.
Riscrivere la figura di Ulisse, Odisseo, con gli occhi del figlio Telemaco: questo fa Roberto Calogiuri nel suo romanzo “Telemachia”. Telemaco il figlio che aspetta un padre che non ha mai conosciuto. La domanda ricorrente è perché: come può un padre partito per una guerra durata dieci anni, lasciando la giovane moglie e un bimbo in fasce, non sentire il desiderio, l’amore per ritornare in patria, almeno per far sapere di essere vivo.

Paolo di Paolo in “Il Mal del Tempo o della Telemachia” così scrive: “La vita che c’è stata prima per capire la vita che tu sei adesso. Non la trovi sui libri, bisogna ascoltare le voci di chi c’era. Bisogna andarseli a cercare i padri, guardarli per quello che sono e riconoscerli nel loro valore.

Questo gli antichi lo sapevano bene. L’Odissea si apre con Telemaco esasperato dai prepotenti che banchettano in casa sua, i Proci, gli arroganti del potere, i corrotti. Anche Telemaco ha il Mal del Tempo, ha problemi col suo presente: ogni mattina anche lui si chiede: dove siete tutti, o eroi di cui a lungo ho sentito raccontare e facevate di Itaca un nobile regno? Dov’è mio padre? Chi è mio padre? E così parte per cercare Ulisse. E il figlio non raccoglie testimonianze completamente positive sul genitore. Anzi. Il vecchio Nestore racconta che mentre lui dopo la guerra ha fatto con saggezza immediatamente rotta verso casa ed è arrivato sano e salvo, Ulisse ha voluto compiacere lo stolto Agamennone e lo ha seguito per compiere un’ecatombe che avrebbe dovuto placare l’ira di Atena, atto quanto mai inutile e scellerato. Insomma Nestore lascia intendere a Telemaco che se suo padre non è a casa come tutti gli altri è perché ha commesso qualche empietà di troppo. Eppure è il grande Ulisse, l’eroe dal multiforme ingegno, l’unico in grado di sconfiggere l’arroganza dei Proci e riportare saggezza a Itaca. È un grande padre, ma non è perfetto. E forse è proprio questo che lo rende grande. “

Nel romanzo di Calogiuri Telemaco s’interroga continuamente su chi sia suo padre, se veramente è o è stato quel grande eroe di cui ha sentito parlare, sembra quasi abbia dei dubbi. Telemaco deve diventare adulto senza la presenza del padre. Quando arriva non è più un adolescente che cerca la sua identità, non ha bisogno del padre per crescere anzi è un estraneo lo straniero che si svela genitore. Ma ha bisogno di lui per sconfiggere i Proci. E la condanna che seguirà non lo sconvolge, avendo più volte pensato che se avesse ucciso il padre non avrebbe potuto considerarsi parricida.

All’inizio del romanzo Telemaco ormai vecchio è tormentato da notti insonni popolate dai fantasmi del suo passato. Policasta, la figlia di Nestore, sua dolce sposa, coricata vicino a lui non dormiva:”sapeva che nessuna parola avrebbe alleviato il peso che quell’uomo, il saggio e avveduto Telemaco, portava dentro di sé… Dopo molti anni era ormai rimasta la sola a conoscere quali pensieri la mola della sua mente macinasse senza interruzione. E questo aveva creato un legame profondo e fermo come quel silenzio”.

Anna Piccioni

Istriane

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