Si fa un gran parlare di “profughi” ed “esuli” … ne parla l’avv. Libero Coslovich
Si fa un gran parlare di “profughi” ed “esuli” allorquando si tratta di indicare il fenomeno che ha interessato la diaspora istriano-fiumana e dalmata.
I vari autori che hanno trattato dell’argomento parlano quasi indifferentemente di profugo o esule.
Ma qual’è la reale differenza fra i sostantivi che in pratica racchiudono il concetto della tragedia che ci ha colpiti, soprattutto durante e dopo l’ultimo conflitto mondiale?
Se diamo un’occhiata al vocabolario o alle enciclopedie troviamo che la parola “profugo” deriva dal latino “profugus” derivato da “profugere” che significa “cercare scampo”.
In particolare si tratta di quella situazione nella quale vengono a trovarsi quegli individui costretti a cercare rifugio in paesi “stranieri” a seguito di sconvolgimenti che hanno reso impossibile l’esistenza nei rispettivi territori nazionali.
Tale è il caso di catastrofi naturali o conseguenti a eventi bellici, di persecuzioni razziali o politiche. I conflitti mondiali e locali, l’affermazione di regimi totalitari e il manifestarsi nel loro seno di politiche razziali hanno fatto sì che il fenomeno del profugo assumesse rilevanti dimensioni. Da ciò sono scaturiti nuovi e più urgenti problemi per gli Stati nei cui territori i profughi si sono insediati, problemi di varia e complessa natura giuridica, politica e sociale che solo attraverso una cooperazione internazionale possono trovare soluzione.
Il concetto di “esule” trova la sua radice nel verbo “esulare” che significa andare in esilio, andar ramingo, emigrare, espatriare; da cui il concetto di esodo (la partenza e per estensione la partenza di un gran numero di persone – exodos – fuori, via).
Da quanto precede possiamo quindi dire, a nostro giudizio e sempre per quanto riguarda la nostra dolorosa storia, che profugo deve essere considerato quella persona che è stata costretta, per salvare se stessa o i propri cari o i suoi beni, ad abbandonare la terra natia e a rifugiarsi in un altro Paese dove ha trovato ospitalità; esule è considerato colui che, a seguito del Trattato di Pace del 1947, del Memorandum di Londra del 1953 e del Trattato di Osimo del 1977 ha scelto (=optato) di andarsene per i più svariati motivi il principale dei quali è però il mancato consenso alla nuova impostazione politica e ideologica che il regime titino aveva imposto nei territori occupati con lo scopo di costringere la popolazione a trasferirsi altrove realizzando la snazionalizzazione di quelle terre.
La Prefettura rilascia la qualifica di profugo e non di esule.
Le condizioni richieste per il riconoscimento della qualifica di profugo possono riassumersi nelle seguenti tre fondamentali considerazioni:
a) trasferimenti dai territori ceduti per ragioni belliche o politiche;
b) precedente possesso del domicilio, oltreché dell’iscrizione anagrafica, nei territori ceduti;
c) impossibilità di fare ritorno al domicilio per le dette ragioni belliche o politiche.
Si può ipotizzare anche una terza categoria che non rientra nelle ipotesi di profugo-esule ed è di quelle persone o nuclei familiari che dopo il periodo concesso dai trattati internazionali per decidere se restare nelle proprie case o andarsene “raminghi”, hanno scelto di abbandonare il luogo dove sono nati per cercare, aldilà delle loro convinzioni politiche o religiose, una nuova sistemazione con la speranza di avere condizioni di vita più sicure e serene.
Può comunque essere aperto un dibattito sulle questioni sopra brevemente trattate.
Libero COSLOVICH