“Micheletti, il dottor coraggio di Vergarolla”di PIERO DELBELLO
La storia era cominciata così: con un suicidio, anzi due (anzi tre) ed era proseguita per una via dissodata nel sangue sino alla strage di Pola, quasi quarant’anni dopo. Come esiti di una nemesi non storica, non diacronica, ma di circostanza di uomo, di assetto di famiglia, i Michelstaedter/Micheletti germogliano il fiore della vita e si immolano – o vengono offerti – a un altare più alto del sé. Si chiami questo “Io unico, solo e assoluto” oppure “Patria” e il modo sia consapevole o non voluto, l’esito rimane identico: la morte terrena ma, insieme, la via della memoria. In un caso, immediata e indelebile anche se imprevista, altrove sommersa, da recuperare e da imporre nel ricordo, se siamo uomini”.”Carlo Michelstaedter è quel giovane filosofo goriziano che a ventitre anni ha già percorso tutte le vie, o le non-vie, che ritiene siano consentite al singolo essere umano. La fine del percorso, strada per la conoscenza, non è comunicabile, non lascia insegnamenti , è solo e unicamente, non potendo che essere così, la morte. Ma il suo essere uomo di pensiero, poeta, pittore, non sparisce con la fine del corpo. Quella salvezza di sé (e di ognuno) che egli ritiene possibile solo nel gesto che non è dato di ripetere, quello estremo contro sé stesso, sfugge al controllo e si perpetua nei posteri che ne celebrano il pensiero e l’opera”.”Carlo Michelstaedter decide di finire la sua vita il 17 ottobre 1910, già segnato dal suicidio del fratello Gino, a New York nel 1909, e da un altro suicidio, quello fiorentino della donna che non amato ama, Nadia Baraden, l’eroina in nero, di due anni prima. E se ci piacesse giocare con il concetto di eroe non potremmo non ricordare che il gesto di Michelstaedter altro non è che «un’azione di indiscutibile eroismo puro, nata da un giudizio freddamente calcolato e profondamente pensato sino alla persuasione di se stesso: un’azione che esce dai limiti dell’umano», poiché così ne dice, cinquant’anni dopo, suo cugino, il dottor Geppino Michelstaedter-Micheletti, ricordando la figura del filosofo sulle pagine dell’«Arena di Pola», nel 1960″.”Allora la storia, questa storia, ha già consumato quasi tutte le sue tragedie. Un piccolo passo indietro: Geppino Micheletti è un chirurgo, di fatto l’unico operativo in quel momento a Pola. Siamo nel 1946, la guerra è finita ma non è ancora chiusa e per la Venezia Giulia, il palcoscenico in cui si recita questo ennesimo assurdo umano, il presente significa occupazione straniera: l’Istria, quasi tutta, di fatto alla Jugoslavia, Trieste in amministrazione militare anglo-americana e Pola enclave sotto governo militare inglese. Siamo il 18 di agosto e sulla spiaggia di Vergarolla, fuori Pola, un’enorme folla di persone si è raccolta non solo per fare il bagno ma anche per assistere alle gare di nuoto e di tuffi e per partecipare alla festa prevista in serata per i sessant’anni della società nautica Pietas Julia, emblema di patriottismo e di italianità. Sulla riva, accatastate ai bordi della pineta, un cumulo di mine, enormi residuati bellici, recuperate e disinnescate, sembrano testimoni ingombranti e senza ricordi di un cruento già stato”.”E invece no: all’improvviso, subito dopo le 14, scoppia tutto, i corpi volano a brandelli e la carne dell’uomo diventa il pasto più macabro e truculento per l’inconsapevole gabbiano. È una strage, non fortuita ma provocata da una mano umana maligna che va ad innescare ciò che era disarmato, che dà la chiave per liberarsi al mostro imprigionato. Più di cento sono i morti e senza numero i feriti: tonnellate di carne umana martoriata che arrivano all’ospedale di Pola dove Micheletti , unico chirurgo rimasto, opera per ore ed ore. Non si ferma neanche quando gli dicono che i suoi due unici bimbi, Carletto e Renzo, sono fra i morti: non crolla davanti al dolore, sa che altre vite sono nelle sue mani. Solo nelle sue”.”Per i morti, dopo due giorni, i funerali: solo 64 salme verranno composte nelle bare e, fra queste, il corpicino straziato di Carletto e niente, tranne una scarpa e i suoi giocattoli, in quella di Renzo”.”Geppino Micheletti, l’eroe di Vergarolla, continuerà a rimanere a Pola sino al 31 marzo 1947, comandato in servizio dalla Croce Rossa quale “indispensabile”, e coordinerà l’evacuazione di tutti i malati ricoverati nell’ospedale, quando la città andrà a svuotarsi dopo che il trattato di Pace del 10 febbraio 1947 concederà anche la capitale dell’Istria alla Jugoslavia di Tito. Anche la strage di Vergarolla avrà avuto il suo peso nell’esodo massiccio dei polesani”.”E Micheletti? È l’unico morto che manca per chiudere la collana di sangue dei Michelstaedter-Micheletti. Pur con una medaglia d’argento concessa dallo Stato, non avrà che un posto di primario in uno sperduto ospedale a Narni dove, nonostante lo strazio, per undici anni continuerà ad operare indefesso con l’amministrazione locale, sorretta da raggruppamenti politici ostili, pronta a fomentare odio verso gli esuli istriani, solerte ad accanirsi su di un esule eccellente come lui considerato un “intruso”. Non erano i “fratelli italiani” che avrebbero dovuto accogliere i “fratelli istriani”. Micheletti resisterà sempre con i fatti, con l’opera senza soste in aiuto del malato, ma sempre più minato nello spirito e colpito anche nel fisico, dopo l’aggressione da parte di un medico comunista suo subalterno, troverà la fine dei suoi giorni per un attacco cardiaco a soli 56 anni isolato e dimenticato. Sarà un morto “di conseguenza””.48Persone raggiunte1Interazione–Punteggio di distribuzioneImpossibile mettere in evidenza