Questo racconto è tratto dal libro “Il berrettino rosso” (Luglioprint, Trieste, 2017) che raccoglie le storie di Istriani ospiti del Centro Raccolta Profughi di Padriciano (conosciuto come “il campo”) unica struttura di questo tipo assurta a Museo di Carattere Nazionale.
Marcella
Entrando dal portone principale del Campo, la strada proseguiva dritta dritta fino ad una palazzina che ospitava, tra le altre attività, anche una piccola rivendita di generi alimentari. Marcella aveva appena comperato un litro di latte e 5 deca di crema di cioccolato bianca e 5 deca marrone, che era stata messa su della carta oleata e consegnatale in mano. Ora stava ritornando verso la sua baracca, lungo la via principale; giunta a circa metà della strada, Marcella vide con la coda dell’occhio alcuni uomini in divisa da carabiniere che si stavano dirigendo dalla sua parte. Rallentò il passo, li guardò ed ebbe il chiaro presentimento che venissero proprio incontro a lei; quasi per un ignoto segno scaramantico, strinse con la mano il collo della fiàsca de late che aveva appena comperato ed accelerò il passo verso la sua baracca. Pensò anzi di sgattaiolare tra le baracche della fila prima della sua, ma subito una vocina le disse: “Ma perché? Cosa hai fatto per aver paura?”
Era sola a casa, come ogni giorno del resto, visto che suo marito aveva trovato lavoro giù in città; era un posto da manovale ed usciva di casa la mattina molto presto. A digiuno, quasi sempre; a quell’ora la mensa era ancora chiusa e lui doveva prendere la prima corriera che arrivava da Trebiciano e scendeva giù per l’altipiano fino alla città.
Giunta davanti alla sua baracca, con il piede destro già sul primo gradino di cemento che portava alla porta di legno dell’ingresso, girò lievemente la testa verso la spalla destra. E li scorse: erano in due, i carabinieri, e si dirigevano proprio verso di lei; non erano i poliziotti di stanza nel Campo perché quelli li conosceva bene perché li vedeva spesso fermi all’ingresso del Campo. Questi due non li aveva mai visti; uno era alto di statura e magrolino, moro, con i baffetti mentre l’altro era calvo e sembrava più anziano; quando si avvidero che li stava guardando di sottecchi, accelerarono il passo verso di lei e prima ancora che potesse fare i tre gradini della baracca la chiamarono per nome.
“Signora Marcella Bartoli” disse il più giovane; e l’altro:” Aspetti un momento, signora.”.
Marcella nel frattempo aveva già fatto rapidamente i due scalini che le mancavano per raggiungere la porta, la aprì e proprio mentre stava per richiuderla, il carabiniere più giovane bloccò la porta con il braccio teso, impedendole di farlo.
E Marcella, vista la mala partita, entrò nella baracca, posò la fiàsca de late sul tavolo e si strinse lo scialle alle spalle; si intromise tra il nudo tavolo di legno ed il carabiniere che stava sulla porta, tentando con il proprio corpo di impedirgli di notare quanto il tavolo fosse logoro e malandato, con le gambe scrostate da centinaia di colpi, e che c’erano soltanto due sedie, di quelle impagliate, da osteria.
Posata quindi velocemente la bottiglia del latte sul nudo tavolo, si voltò verso l’uomo che l’aveva chiamata e con un fil di voce rispose: “Si, buongiorno, mi dica”.
“É lei Marcella Bartoli, sorella di Giusto Bartoli?” le chiese il carabiniere più anziano.
“Si, sono io” disse Marcella, ma poi, emozionata al sentir nominare il fratello, continuò confusa in dialetto: “parché? cossa ghe że sucesso?”
Ma senza risponderle, il carabiniere la incalzò: “Quando l’ha visto l’ultima volta signora?”
“Mio fradel?” disse Marcella tentando di prender tempo per dar modo al battito del suo cuore di rallentare: “Ma..veramente, viene di solito la domeniga a trovarmi; la sa i lavora duti e durante la setimana, la sa…”
“No signora, non lo so; me lo dica lei. Ma di preciso quand’è che l’ha visto? Ha lei l’oro che suo fratello ha portato via dall’appartamento dove stava facendo dei lavori di restauro?” la sollecitò di nuovo il carabiniere.
“Ma cossa la diżi? la że mato? Giusto rubado? ma no de sicuro, la sa, la vardi che że un eròre.”
“No, nessun errore, signora; è sparito l’oro della signora Varinich che abita in quell’appartamento e dove suo fratello ha fatto dei lavori; è meglio che ce lo consegni subito quell’oro, per il bene suo ed anche di suo fratello.”
”Ma indove że Giusto desso? Parché no ghe domandè a lu’ alora, se no me credè a mi, vedarè che lui ve dirà...”.
Intervenne il carabiniere più giovane, con modi più gentili: ”Suo fratello in questo momento si trova agli arresti, signora.”
A sentir quelle parole, anche se dette quasi con gentilezza, Marcella si portò la mano davanti alla bocca e gridò: ”Coossa? In galera? Mio fradel? Ma se diventai mati duti? Mai in casa mia że stada una vargogna compagna .”
Ora fu il carabiniere più anziano a risponderle: ”Signora suo fratello non verrà rilasciato fino a quando non verrà ritrovata la refurtiva. Sono stati avvisati anche i vostri parenti in Istria.” Incredula Marcella lo guardò dritto negli occhi: ”I nostri parenti? Oooh mare mia!! E par cossa? Par svargognarlo con duti? Ma … ma dove el że Giusto desso? qua in Campo?”
Il carabiniere più giovane le disse:”Signora lei non lo deve vedere, suo fratello; né parlare con lui, perché ha commesso un reato.” E quello più anziano intanto, girava per la baracca e guardava dappertutto: i suoi passi risuonavano sulle travi di legno del pavimento. Alla fine dell’ispezione le domandò: ”Come vive suo fratello, signora, lei lo sa?”
”Ma … Giusto vivi de giornada, lavora un poco qua, un poco là; el że stado alla Gaslini per sie mesi ma po’ i ga serà; mi lo iuto, ghe dago mi qualchicossa..”.
”Lei non lo deve aiutare, suo fratello, signora; lui deve provvedere da solo ai propri bisogni, lei non deve dargli nemmeno un chilo di pane né un pacchetto di sigarette.”, l’apostrofò l’altro carabiniere, quello calvo.
”La vardi che più onesto omo de Giusto, no esisti sula tera, la sa.”
Marcella sentiva che le ginocchia le stavano cedendo ed inconsciamente tirò una sedia vicino a sé e vi si sedette per non cadere; le fischiavano le orecchie e proprio non sopportava di sentir parlar in quel modo di suo fratello. Certo, se l’aspettava una ramanzina su Giusto; anche suo marito lo giudicava un perdigiorno, ma Giusto era soltanto molto timido, ed orgoglioso anche; gli costava molta fatica chiedere continuamente in giro se c’era del lavoro (pitocàr un lavor diceva lui) ed era spesso depresso e malinconico. Però quando trovava una campagna da zappare o un cantiere edile dove poter finalmente guadagnarsi il pane, era un uomo felice, lo vedevi dai suoi occhi che brillavano di contentezza. Aveva dei begli occhi Giusto; azzurro cielo con folte ciglia nere ed uno sguardo da ragazzone che faceva impazzire le ragazze. Anche con loro era sempre stato molto timido; a casa, in Istria, aveva avuto qualche storiella di poco conto, perché Giusto non aveva mai il coraggio di fermare una ragazza, di farsi avanti; si schermiva quando qualcuno gli chiedeva della morosa, ridacchiava abbassando la testa e guardando poi il suo interlocutore di sottecchi, per soppesare se lo stesse prendendo in giro.
Ma rubare proprio no, non ci poteva credere; lei avrebbe messo tutte e due le mani sul fuoco per quel suo fratello troppo presto strappato all’adolescenza ed alla propria casa.
”Ma … la scolti, mi no so come che że a casa sua, la sa, ma mi, a mio fradel ghe parlarò sempre e sempre; e lo iuterò sempre, parché mi son sua sorèla e questo że el dover dele famiglie, de iutarse e de restar unide, sopratuto in tel bisogno.”
”Quand’è che ha detto che lo ha visto l’ultima volta, signora?”
”Ma no me ricordo, forsi l’altro ieri o domeniga…”
”Signora, le ripeto che suo fratello si deve arrangiare da solo e soprattutto diventare onesto.”
”La guardi che noialtri no gavemo bisogno de lessioni de onestà de nissun, la sa.” quasi urlò Marcella alzandosi in piedi.
”Arrivederci signora, noi l’abbiamo avvisata.”. Ed entrambi i carabinieri si girarono verso la porta; Marcella gridò dietro le loro spalle con la voce rotta dai singhiozzi: ”Giusto że onesto, che più onesto de lu’ no pol esser .”
(continua…)