tutte le comunità:
(Da: “Itinerari istriani – I, II vol.” di Pietro Parentin)
Pur trovandoci ben all’interno dell’Istria siamo ad un’altitudine media di appena 50 metri sul livello del mare per cui appaiono in tutta la loro imponenza i monti circostanti, che arrivano ai 500 metri del ciglione carsico ed oltrepassano i 300 a sud mentre a chiudere la valle ad est, meno imponenti solo perché lontani, ci sono monti con un’altezza in genere superiore ai 400 metri. Una conca riparata, ricca d’acqua, dal terreno fertile; un luogo ideale per un insediamento di pastori o cacciatori quali erano i primi abitanti di queste terre. Ai celti Secussi che qui avevano il loro centro s’erano sovrapposti gli Istri.
Entrambi popoli di pastori e cacciatori più che di agricoltori, si raccoglievano in villaggi fortificati posti sulle alture, segno questo di una vita difficile in cui occorreva sapersi unire onde difendersi dal nemico. Così se guardiamo al tronco di cono che troneggia nel bel mezzo non facciamo fatica a comprendere quanto sia stata naturale la scelta del sito da abitare.
Qui dunque sorse un grande castelliere, ma il luogo, vinte le popolazioni locali, con la conquista romana non fu abbandonato come accadde per tanti altri centri fortificati dell’Istria preromana di cui rimangono innumerevoli testimonianze. Qui, su questo colle, si è dunque verificata una lunga continuità di insediamento che solo oggi viene abbandonato per il pianoro sottostante.
Si può ben dire pertanto che ci troviamo nella città più antica dell’Istria. Vale la pena perciò raggiungere un luogo panoramico per rivivere una storia che lo stesso ambiente ci racconta se lo sappiamo osservare attentamente.
Anche provenendo da ovest, lungo il corso del Quieto, questa stupenda conca, lasciata alle spalle la media valle in cui troneggia Montona, ci appare all’improvviso una volta superata la strettoia denominata Porte di Ferro. Anzi, da questa parte ove il fiume si è creato un passaggio tra i monti, specialmente con la luce del pomeriggio, lo scenario è ancora migliore con Pinguente che troneggia dall’alto cinta da mura possenti.
Prima che il fiume scavasse questo percorso, la conca doveva essere un bacino lacustre ed il colle di Pinguente un’isola, ma senza riandare tanto a ritroso nel tempo accontentiamoci di cogliere il luogo come doveva presentarsi ai primi abitatori e per farlo portiamoci a San Martino, sulla strada per la Cicceria, o a Sant’Elena, sulla strada per Rozzo, o meglio ancora a Tutti Santi, sulla strada per Pisino. Luoghi panoramici che ci possono permettere di cogliere nel suo insieme l’ampia valle e la posizione strategica di Pinguente e ciò prima di lasciare la macchina in località Fontana, ai piedi del colle, per raggiungere a piedi, anche se i cento metri di dislivello possono costare un po’, la cittadella fortificata: Castrum Pinguenti che ci attende con il fascino dei luoghi ricchi di storia. (…)
Con l’insediamento romano il vecchio castelliere non venne abbandonato, ma, vista la sua posizione, valorizzato dai conquistatori. I Romani successivamente non si limitarono ad abitare l’altura, ma, reso il territorio più sicuro, non disdegnarono il pianoro circostante ricco d’acqua e di buona terra. Tutta la zona vicina infatti si è rivelata ricca di ritrovamenti d’epoca romana, ma anche delle fasi storiche successive, ritornate poco sicure, abbiamo notevoli testimonianze per lo più di carattere sepolcrale che attestano il periodo paleocristiano, quello bizantino e quello longobardo. Al tempo dei Franchi Pinguente è presente con i suoi rappresentanti al Placito del Risano mentre nei secoli successivi è sempre un luogo notevole nell’ambito del grande feudo dei patriarchi d’Aquileia. Come segno della sua vitalità basti ricordare che nel 1405 Pinguente formò un’alleanza con Rozzo, Colmo, Socerga, Nugla e Marcenigla per difendere i suoi diritti e le sue consuetudini nei confronti del marchese d’Istria. Attestazione questa di vitalità e di fierezza, ma indice anche di presenze significative diverse nell’alta valle del Quieto.
Una svolta importante si verificò alcuni anni dopo quando, nel 1421, il castello si arrese alle truppe veneziane comandate da Taddeo d’Este, succeduto a quel generale Arcelli che l’anno prima aveva conquistato tutte le località istriane rimaste ancora in possesso dei patriarchi, fatto che segnò, assieme alla caduta del Friuli, la fine di quello stato ecclesiastico che ha marcato per secoli le vicende della storia istriana.
Con Venezia Pinguente acquistò, data la sua posizione, un’importanza sempre più grande. Venezia classificò la località come Terra (nome dato alle località maggiori essendo riservato il nome di città alle sedi vescovili) attribuendole un vasto territorio oltre il ciglione carsico tra cui Raspo nel quale, in un primo tempo, i Veneziani posero il caposaldo a difesa del territorio.
Pinguente in quel periodo s’arricchì e si fortificò tanto che nel 1511 fu scelta quale sede della magistratura del Pasenatico, dotata di 40 cavalieri agli ordini del comandante, che conservò il titolo di “capitano di Raspo”.
La strada che percorriamo, con quattro brevi tornanti, ci conduce alla Porta grande; al secondo tornante troviamo un primo ingresso al cimitero ove sulla parte esterna del muro di cinta, a fianco della stradina di accesso, è stato realizzato un lapidario a cura della Comunità di Pinguente in esilio tendente a riparare quanto avvenuto in questi anni. Va segnalato infatti che in questo cimitero è stata fatta una completa pulizia etnica allorché vennero tolte tutte le lapidi vecchie ed antiche e sostituite con altre tutte scritte in croato.
Proseguendo un po’ ecco che si arriva al terzo tornante ove vi è un ampio parcheggio e da dove si può pure accedere al camposanto, al centro del quale vi è la chiesa in stile romanico di San Vito del 1653.
Nell’ultimo tratto, prima d’arrivare alla Porta Grande del 1547, al bivio che porta alla Porta Piccola, invano cerco tracce del casino Baseggio presente nella Pinguente del 1780, ma questa sparizione non è dovuta al nuovo corso che purtroppo ha apportato tanta rovina anche qui, ma a fatti parecchio antecedenti.
La cinta attuale è dunque quella del 1547 ed è costruita in arenaria sul basamento calcareo del colle. L’altura su cui sorge Pinguente, in piena zona marno-arenacea, è dunque un’emersione calcarea, fatto questo piuttosto singolare.
Prima di entrare in città osserviamo la Porta Grande. Un arco a tutto sesto poggia su due pilastri ed è sormontato da un cornicione che riporta una scritta in latino. Sopra ancora un bel San Giorgio in lotta con il drago ci ricorda il santo protettore di Pinguente. Entrati nel borgo, voltiamo a sinistra e seguiamo dall’interno l’andamento delle mura. In questa zona, abbattuta la torre ed altre costruzioni alla fine del 1700, dalle mura e dai bastioni si ha una bella vista verso la valle del Quieto.
Proseguiamo fino alla fine della via, dove svoltiamo a destra; qui si trova un piccolo lapidario all’esterno di una casa. Proseguendo ancora in direzione nord-est si arriva alla piazza principale. Questa, di forma rettangolare, ci presenta sulla destra la casa del console, cui segue il campanile, sulla sinistra il Palazzo Pretorio, mentre di fronte a noi spicca la facciata della chiesa parrocchiale dedicata all’Assunta.
La chiesa settecentesca è stata costruita tra il 1769 ed il 1784 in forme barocche dal piranese Filippo Dongetti e completata da Pasquale Cicogna, capitano di Raspo; rassomiglia ad altre chiese dell’epoca tra cui quella di Umago. Restaurata di recente, anche con l’apporto della Regione Veneto e dei pinguentini della diaspora, è dotata oltre che dell’altare maggiore, fiancheggiato da due statue marmoree, da sei altari laterali.
La parrocchia di Pinguente è d’origine antica, sicuramente antecedente alla chiesa che qui sorgeva già dal 1326. Merita ricordare poi che la pieve di Pinguente ha fatto sempre parte della Chiesa tergestina tranne il periodo compreso tra il 1784 ed il 1815 in cui fu assoggettata a quella di Parenzo in seguito agli adattamenti dei confini delle diocesi ai confini politici tra Repubblica di Venezia ed Impero.
Dotata di capitolo, va sottolineato che prima di passare sotto la diocesi di Parenzo il suo pievano fungeva da vicario vescovile per le parrocchie della diocesi di Trieste site in territorio veneto. Da notare ancora il bel campanile di tipo aquileiese e le case poste accanto allachiesa, tra le quali la Casa del Capitano. Prendendo poi la via tra questa ed il Palazzo Pretorio, dopo breve tratto, voltiamo a sinistra e ci troviamo di fronte al Museo Civico sistemato nella signorile Casa Bigatto. Nell’osservare il bell’edificio mi viene alla mente il titolo del libro La casa natale nel paese perduto in cui l’autrice Romanita Rigo Gusso ricorda la storia della sua famiglia che qui è vissuta per generazioni. La casa natale nel paese perduto è un libro emblematico in quanto esso accomuna un po’ tutti noi che in un luogo, ora perduto, conserviamo la casa dei nostri ricordi, dei nostri affetti, della nostra vita prima dell’esodo. Casa che se ancora sussiste è però una realtà diversa che ci appare estranea. Nella piazzetta antistante questa casa signorile resta la cassetta delle denunce che merita d’esser notata. Continuando la nostra visita, prendendo la via a fianco di casa Bigatto, si arriva alla Porta Piccola del 1592. La Porta, per la sua struttura, merita una visita accurata. Fuori dalla Porta vi è un bel punto panoramico.
Rientrati e lasciato sulla sinistra il vecchio Fontego sulla cui facciata possiamo notare diversi stemmi gentilizi, più avanti, svoltando a sinistra, si arriva in un ampio piazzale ove possiamo ammirare il grande cisternone che forniva acqua specialmente nei periodi di assedio. La monumentale cisterna è del 1789. Continuando il nostro giro si arriva al punto più alto del colle ove si trova la chiesa di San Giorgio che ha la facciata rivolta verso il borgo e quindi quasi orientata e un bel campaniletto a vela. L’attuale edificio, dedicato al santo protettore, risale al 1711 anno in cui venne ricostruito.
Sui due lati della chiesa si aprono dei bellissimi punti panoramici; qui vale la pena non perdere l’occasione di salire sul Belvedere posto sopra la vasca dell’acquedotto istriano. Da questo punto possiamo godere della vista della conca pinguentina e del borgo racchiuso entro la cinta ovale delle sue mura ancora conservate. Trovandosi sopra la vasca dell’acquedotto merita gettare lo sguardo verso sud ove, in località San Giovanni, vi è la sorgente del Quieto. Due torrenti, il Fiumana e il Baredine, raccolgono l’acqua della parte orientale della valle, ma è da qui, dalla notevole polla detta localmente Bolach, che ha origine il Quieto che, presa la direzione ovest, arriva al mare con un percorso di 50 km.
L’acqua di questa sorgente, a partire dalla costruzione dell’acquedotto istriano risalente al tempo dell’Italia, ha cambiato, si può ben dirlo, il volto dell’Istria, specialmente di quella marittima da sempre carente del prezioso bene. Nel concludere la nostra visita ritorniamo verso la Porta Grande percorrendo le vie poste lungo il tratto a sud est delle mura. Anche qui non mancano accessi alle mura e bei punti panoramici. Passando poi dietro l’abside del Duomo possiamo notare un bassorilievo in arenaria con la figura di San Giorgio risalente al 1782.
Le strade lastricate in calcare e le case, anche se oggi parecchie in stato di abbandono, ci ricordano un passato ricco di storia e di vita, anche di una vita agiata in rapporto a quella di altre località della nostra terra. La piccola Pinguente, entro le mura aveva circa 600 abitanti, era il centro amministrativo e commerciale di un territorio ampio ed anche un importante nodo stradale; la ferrovia invece, di cui Pinguente aveva stazione sulla linea per Pola, era molto distante e posta sul costone carsico.
ROZZO - Borgo rivelato dal bel campanile ma cittadella di rilevanza militare evidenziata da torri e mura di cinta
Rozzo – una cittadella – è un articolo scritto dal rozzano ing. Ferruccio Carbi in “Nostalgia delle radici” edito dalla Comunità di Pinguente, Rozzo, Sovignacco e dintorni che ho scelto un po’ da guida, perché mi è sempre caro andare nei diversi luoghi in compagnia di chi li conosce, di chi li sente nel profondo dell’animo. Certo che la presenza della persona è ben altra cosa, ma quello scritto appaga ugualmente almeno il mio animo, che si sente meno solo.
Ho altresì presenti i dati sulle chiese della località raccolti dagli annuari diocesani ed in particolare il prezioso volumetto di Sergio Galimberti su “Clero e strutture ecclesiastiche in Istria tra Otto e Novecento” dove trovo tra l’altro queste brevi note: La cura d’anime viene espletata sino dal V secolo. La pieve viene nominata nel 1272. Il capitolo collegiato viene rimosso nel 1843. La chiesa parrocchiale, dedicata a San Bartolomeo apostolo, viene edificata “in stile ogivale” nel 1494. Da essa dipendono dieci chiese filiali. (…)
La parrocchia che nel 1831 aveva 1168 anime ed era passata nel 1914 a 2315 abitanti oggi ne raggiunge appena 856, effetto dell’esodo che ha visto spopolarsi il centro ove erano concentrati gli italiani, ma anche di quel fenomeno di risucchio che ha visto l’abbandono dei paesi dell’interno a favore di quelli della costa rimasti allora quasi disabitati.
Il territorio parrocchiale è tuttora suddiviso in contrade, lo rilevo da CRKVA U ISTRI il prospetto dell’attuale diocesi parentino polese, queste sono sei: Rozzo, Nugla, Chercus, Cirites, Santa Lucia e Polie di Rozzo, contade cui fanno capo numerosi piccoli villaggi alcuni dai toponimi interessanti, quali Latini e Roma, altri di derivazione più recente dai cognomi delle famiglie colà insediatesi.
Raggiunta la cittadella, molto interessante per la sua struttura ancora ben conservata, m’aggiro al suo interno dopo essere entrato dal lato di sud est per un’apertura che probabilmente non corrisponde ad un’antica porta. Noto tra le case, tutte in pietra, molti spazi liberi ed un certo abbandono. Le mura sono abbastanza libere anche sul lato interno in quanto le case ad esse addossate, a differenza di altri borghi murati, sono poche. Al centro del borgo la grande chiesa parrocchiale a tre navate con a lato un bel campanile ed accanto, dall’altra parte, l’antica chiesa di Sant’Antonio Abate attraggono la mia attenzione. La parrocchiale di S. Bartolomeo, del 1492, è stata ampliata e più volte restaurata, ma conserva un aspetto che sa d’antico in un misto di gotico e barocco che ne segnano quasi i periodi degli interventi. Il campanile, alto 26 metri, ha una cella campanaria aperta a bifore sui quattro lati, sormontata da tamburo e cuspide ottagonale.
Molto interessante m’appare la vicina chiesa di S. Antonio Ab. del XIV secolo, costruita sul sito di una chiesa più antica del VI secolo. Di quel periodoera stata rinvenuta in loco una scritta lapidea che parlava del presbitero Urso e riportava anche il nome del protovescovo tergestino Frugifero. Rozzo, come la vicina Pinguente, tranne un breve periodo, infatti è sempre appartenuto alla diocesi di Trieste. La chiesa in stile tardo gotico contiene interessanti dipinti ed una formella in pietra con un piccolo Crocefisso. Il campanile è piuttosto strano, in parte a vela posto sul tetto ed in parte protiro in facciata. Nello spiazzo a fianco di questa chiesa vado ad affacciarmi alle mura da cui si gode un bel panorama sul territorio sottostante. Cerco, aiutandomi con una cartina, di individuare la zona ove c’era l’insediamento romano oggi segnalato dal toponimo Roma. Fatto ritorno al sagrato mi avvio verso ovest ove in mezzo ad un ampio piazzale si erge la chiesetta romanica di S. Rocco che, da quanto ho potuto documentarmi, conserva tre strati di affreschi. Sul lato ovest della cinta vedo che si aprono due aperture, ma io cerco, a nord ovest, l’antica porta rimasta ed oggi adibita a Lapidario ove fan mostra di se alcune lapidi romane ed un cannone.
Qui riprendo l’articolo del Carbi che riporto in buona parte visto che ben riassume la storia locale. “Che Rozzo sia stata una cittadella con rilevanza militare appare immediatamente a qualsiasi visitatore. Ancora oggi infatti il borgo è quasi completamente circondato da mura. Sorto come centro fortificato di una colonia agricola romana col nome di Rotium, Rozzo mantenne anche nei tempi successivi la sua caratteristica di cittadella munita. Nel 1102, unitamente ai castelli di Cernigrad e Beligrad, fu donata dal conte Ulrico II ai fratelli Mainardo ed Alberto di Eppenstein, passò poi a far parte della signoria degli Schwarzenburg. Già nel 1366 però i rappresentanti di Rozzo si recarono ad Aquileia per far atto di sottomissione al Patriarca Marquardo. Non durò molto perché nel 1411 la Repubblica di San Marco, interessata ad impossessarsi dei principali nodi strategici in Istria, conquistò con la forza delle armi Rozzo e Colmo che vennero sottoposte al Capitano di Raspo.
Il dominio veneziano non era ben sopportato dai rozzani sì che nel 1412 il Capitano di Raspo ricevette l’ordine di far demolire le mura di Rozzo. Il Doge Tomaso Mocenigo ne permise la ricostruzione dopo dieci anni. Queste mura resistettero all’assedio dei Turchi nel 1483 preservando gli abitanti dall’usuale sterminio.
Nei tempi successivi Rozzo è menzionata anche come castello e vi venne mantenuto un consistente deposito di armi, come risulta da documenti del 1550 e del 1599. Durante la guerra tra Venezia e l’Austria cosiddetta di Gradisca, combattuta negli anni 1616 e 1617 sia in Friuli che in Istria, entrambe terre di confine fra i possedimenti austriaci e veneziani, Rozzo, Pinguente ed i loro dintorni furono teatro di lotte sanguinose tanto che la Zecca veneziana inviò, nel 1619, 400 ducati da distribuirsi tra gli abitanti della Piana di Rozzo a compenso dei danni subiti. Nel 1700 furono restaurate. Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, sotto l’Austria, perduta la sua valenza militare, Rozzo divenne un paese praticamente dimenticato come tanti altri in Istria. Il resto è storia recente”.(…)
SOVIGNACCO - Quasi sul crinale tra il Quieto ed il bacino del Bottonega ove calcare, arenaria e terra rossa, i tre elementi che caratterizzano il suolo istriano, si incontrano
(…) Proseguo verso Pinguente ed a San Donato svolto a sinistra in direzione di Sovignacco. Siamo sul crinale tra la valle del Quieto e l’alta valle del Senizza. Ad un chilometro da Sovignacco si trova la frazione di Polie. Sotto la strada, fuori mano, in direzione di Vetta, la chiesetta di Santo Stefano.
Poco dopo il bivio a sinistra con la strada per Berda eccoci alla chiesa di San Rocco, tutta in calcare e preceduta da un bel portico con colonne lombate. L’edifico, costruito su roccia calcarea ed antecedente del 1580 quando venne visitata dal Visitatore Apostolico Velier, ci dà il benvenuto a Sovignacco. Mi inoltro tra le case in pietra che osservo nella loro struttura e procedo verso la chiesa parrocchiale di San Giorgio che sorge quasi su un promontorio a 291 metri d’altezza. Più oltre, ove c’era il castello, di cui rimane il toponimo, in posizione elevata è situato il grande cimitero ove permangono segni della vita di un tempo.
La chiesa romanica di San Giorgio, volta ad occidente, ha il campanile, affiancato da due portici, in facciata. È un edificio di media grandezza; fu curazia sotto la parrocchia di Pinguente fino al 1645 quando divenne parrocchia autonoma comprendente allora, oltre a Berda e Segnacco, anche Vetta diventata successivamente parrocchia. Prima d’essere unita a Pinguente, da sempre compresa nella diocesi di Trieste, questa chiesa appartenne, come tutte le altre del bacino del Bottonega, alla diocesi di Pedena.
Oggi la parrocchia conta 350 abitanti dispersi in 28 piccoli villaggi oltre al paese che denota uno stato di abbandono ed è servita dal parroco di Pinguente; nel 1870, nelle dimensioni attuali, aveva 1.200 anime ed oltre al parroco aveva un cooperatore. Il paese, sotto il profilo civile, è stato a lungo sede di una contea dalla storia tormentata e ricevette un primo duro colpo nel 1463 da parte delle bande croate del conte Frangipane di Veglia. Il castello, da densamente popolato che era, rimase con 13 persone. Passato sotto il dominio di Venezia nel 1535 fu ripopolato anche con coloni slavi, specie nella campagna, ma rimase sempre con un buon nucleo italiano fino al tempo dell’esodo.
Prima di far ritorno, riprendo il mio mezzo di trasporto e faccio una breve visita a Berda che si trova ad ovest, sopra Sovischine. Prima del paese, sulla destra, la chiesetta di Sant’Elena, oltre il paese la sommità del monte Drobresia da cui si deve godere un bellissimo panorama, ma la mancanza di una strada o di un sentiero sicuro mi fanno pensare al ritorno. Da qui colgo le difficoltà che le genti del luogo hanno sempre avuto vivendo in paesini dispersi e privi di vie di comunicazione. Ripassato per Sovignacco, prendo la strada che, con diversi tornanti, scende a valle ove si oltrepassa il Quieto a quota 25 metri sul livello del mare. La valle qui ha l’aspetto di un canalone scavato tra i monti.
Più a monte, ove si restringe ancora e prende il nome di Porte di Ferro, è quasi una forra scavata dall’acqua nella roccia nel corso dei millenni. Verso ovest, dove dopo poco la valle si apre, poteva esserci, alcuni millenni orsono, la parte finale del profondo vallone, navigabile ancora in epoca romana fino ad alcuni chilometri da qui. Dopo aver visto gli scoscesi pendii franosi ed il lavoro dell’acqua sulla roccia ripenso alle montane che allagavano la valle lasciando uno strato fangoso ed all’impaludamento che ne è conseguito nei secoli.
“Peregrinus”
Tratto da “Itinerari istriani” di Pietro Parentin
Nei viaggi del “Peregrinus” - pubblicati a puntate su “La Nuova Voce Giuliana”
e raccolti nei due volumi di “Itinerari istriani” - sono inoltre descritte le località e i dintorni di:
Abbazia, Albona, Antignana, Barbana, Becca, Bersezio, Bogliuno, Borrato, Brest, Briani, Brioni, Buie, Caisole, Canfanaro, Capodistria, Caroiba, Carsette, Casali Sumbaresi, Castagna, Castel Racizze, Castellier di Visinada, Castelnuovo, Castelvenere, Castelverde, Ceppi di Portole, Cerreto, Chersicla, Cherso, Cicceria, Cittanova, Collalto-Briz-Vergnacco, Colmo, comunità Ex alunni Padre Damiani, Corridicio, Costabona, Covedo, Daila, Dignano, Draguccio, Duecastelli, Fasana, Felicia, Fianona, Fiorini, Fontane, Foscolino, Gallesano, Gallignana, Gimino, Gradina, Grimalda, Grisignana, Isola d'Istria, Lanischie, Laurana, Levade, Lindaro, Lussingrande, Lussinpiccolo, Madonna del Carso, Marcenigla, Matterada, Medolino, Mlum, Mondellebotte, Momiano, Mompaderno, Moncalvo, Montona, Mormorano, Moschiena, Muggia, Neresine, Nesazio, Novacco di Montona, Novacco di Pisino, Occisla, Orsera, Ossero, Parenzo, Passo, Paugnano, Pedena, Petrovia, Piemonte, Pietrapelosa, Pinguente-Rozzo-Sovignacco, Pirano, Pisino, Pola, Portole, Portorose, Pregara, Promontore, Raccotole, Radini, Rovigno, Rozzo, Salise, Salvore, San Lorenzo d'Albona, San Lorenzo del Pasenatico, San Lorenzo di Daila, San Pietro dè Nembi, San Pietro di Madrasso, San Pietro in Selve, San Servolo, Sansego, Santa Domenica di Visinada, Sanvincenti, Sarezzo, Sbandati, Schitazza, Sicciole, Sissano, Socerga, Sovignacco, Stridone, Strugnano, Toppolo, Torre di Parenzo, Tribano, Truscolo, Umago, Valdarsa, Valle del Risano, Valle dell'Ospo, Valle d'Istria, Valmorasa, Verteneglio, Vetta, Villa Gardossi, Villa Padova, Villa Treviso, Villanova del Quieto, Villanova di Parenzo, Visignano, Visinada "Norma Cossetto", Zumasco.